Il Corriere della Sera presenta l'interessante caso della sede milanese della Siemens dove novecento dipendenti usufruiscono di un ufficio nomade: "Niente più scrivania, pc smaterializzato insieme con il telefono fisso e la foto dei bambini. Le imprese più avanzate consegnano ai dipendenti una valigetta dove ci sono cellulare e pc. Poi ciascuno lavora dove e quanto vuole. Chi ci tiene può andare anche in azienda. Poi, però, si mette dove capita. Nessuno ha un posto fisso per sé, nemmeno i dirigenti. Le scrivanie ci sono, ma hanno le ruote, si spostano a seconda delle esigenze di giornata". Commenta Liliana Gorla, direttore del personale Siemens: "Ci si alterna sulle scrivanie e i posti fisici di lavoro sono il 20 per cento in meno rispetto al personale perché mediamente un dipendente su cinque lavora da casa. Sia chiaro, non l’abbiamo fatto solo per le donne. Crediamo semplicemente che sia un cambiamento vantaggioso per tutti. Per l’azienda, che ha persone più produttive e motivate. E per i lavoratori che organizzano meglio le loro giornate". Stesso discorso di smaterializzazione delle scrivanie anche per Microsoft: in Olanda l'azienda lo ha fatto quattro anni fa e le loro vendite sono aumentate del 50 per cento. Spiega Pietro Scott Jovane, amministratore delegato di Microsoft Italia: "Al concetto di presenza noi stiamo già sovrapponendo quello di presence, che può essere online. Ma è molto importante che quell’andare online sia facile, immediato, proprio come andare su Skype, per fare un esempio di un’azienda che abbiamo appena acquisito. Se un mio collaboratore invece di venire in ufficio alle 8 del mattino durante il picco di traffico, inizia a lavorare da casa in remoto e poi decide di venire alle 11, impiegando la metà del tempo durante il tragitto, per la produttività è tanto di guadagnato". Ma le cose nel nostro paese, aldilà di alcune punte, è proprio grigia: "Dobbiamo riconoscere che c’è una sorta di grey market tra vita familiare e aziendale. Se come manager non permettiamo ai dipendenti di portare la famiglia durante l’orario di lavoro dimentichiamo che loro si portano il computer a casa, portando il lavoro tra coniugi e figli". Insomma, per il momento la flessibilità non si può certo considerare come la coordinata tipica del sistema di lavoro non nostro paese. Una ricerca della Sda Bocconi di Milano, riassunta nel libro La flessibilità paga. Perché misurare i risultati e non il tempo, traccia un quadro desolante: "Nel complesso sono stati considerati, nel periodo 2007-2010, 52 mila lavoratori distribuiti su due grandi aziende. L’unica forma di flessibilità prevista era il part-time, utilizzato dal 13,2 per cento del personale, in larga parte donne. Rispetto ai colleghi a tempo pieno, quelli a orario parziale sono risultati penalizzati. La loro valutazione di fine anno è sempre stata più bassa: solo il 10,5 per cento dei part time ha ricevuto i punteggi più alti in assoluto contro il 21,5 per cento dei full time. La disparità di trattamento è ancora più evidente in termini di passaggi di livello contrattuale: l’88,3 per cento dei lavoratori part-time non ne ha registrato nessuno, contro il 72,7 per cento dei full-time".

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